Estremo ci guida in un affascinante viaggio sonoro con Era, il suo nuovo album che attraversa mondi musicali differenti, ma con una coesione intima e personale, profondamente legata alla sua visione artistica e alla sua identità sonora. In questa opera, l’artista riflette sul ruolo delle parole nella musica elettronica, mescolando testi evocativi con beats coinvolgenti, e sottolinea l’importanza della collaborazione come strumento di crescita e innovazione. Una scelta audace e pionieristica segna Era: l’album è un omaggio alla voce femminile, con ogni traccia permeata da una forza e una sensibilità uniche, come una dichiarazione di inclusività e di ricerca di nuove sonorità. Estremo parla anche della sua evoluzione come produttore e della sua visione dell’industria musicale italiana, svelando un’idea chiara e ambiziosa: portare il suo progetto live, continuando a esplorare nuove frontiere sonore e collaborare con talenti emergenti. Un’arte che non si ferma, ma si espande, cercando sempre nuove voci e nuovi orizzonti.
Era è un viaggio sonoro che esplora diversi mondi e generi. C’è un filo invisibile che unisce tutte le tracce?
Sì, credo che il filo principale sia io e il mio gusto, un po’ quello che deriva dai miei ascolti e dalla mia cultura musicale. Sono contento del risultato, sia della diversità dei brani, ma comunque della loro coesione. Questo filo penso sia dato un po’ da me, dalla mia visione.
Con questo album volevi raccontare la tua storia o diverse storie, ma con la tua chiave musicale?
Più che raccontare una storia, era una necessità di espormi, far capire quali sono i miei gusti e la mia visione. Non è tanto una narrazione, quanto un’espressione di me stesso. Ho voluto fare musica elettronica, ma diversa dal solito, perché c’è tanto testo.
Quanto contano per te le parole nella musica elettronica?
Penso di essere riuscito a creare un giusto equilibrio tra la musica pop e quella elettronica. Non mi sono concentrato solo sulla parte strumentale, ma ho voluto dare spazio alle voci. Le parole, e in particolare l’idea testuale, sono fondamentali, perché generano immagini sonore e mi permettono di esprimere la mia creatività.
Quando hai scelto con chi lavorare, avevi già un’idea precisa o erano anche le artiste a portare le loro idee?
Dipende. La maggior parte dei brani è nata da me, ma ci sono anche tracce che erano già state fatte prima dell’album e sono state poi rielaborate per renderle più coerenti. In generale, i brani sono stati scritti insieme, con un processo di collaborazione molto naturale, dato che quasi tutte le artiste con cui ho lavorato erano già mie collaboratrici.
Come hai scelto queste artiste?
Non ci sono stati paletti. È stato tutto molto naturale, un processo graduale, giorno per giorno. Sono artiste con cui avevo già collaborato in passato e con le quali avevo idee che non riuscivo a esprimere nei loro progetti, ma che sono riuscito a portare avanti nel mio.
Sei uno dei pochi ad aver creato un album che premia l’inclusività e la collaborazione. Come vedi questi temi nel futuro della musica?
Più che essere uno dei pochi, credo di essere l’unico che è riuscito a trovare un ruolo per questo tipo di inclusività. L’idea di avere solo voci femminili per me è stata super innovativa, una parte del mio percorso artistico che è venuta fuori in modo naturale. Non è stata una scelta premeditata, ma una conseguenza del progetto stesso.
Come le tue esperienze con artiste come Madame hanno influenzato la creazione di Era?
Le collaborazioni passate sono state utili, mi hanno permesso di capire come approcciarsi al lavoro e quali idee costruire. Ma è stato tutto molto naturale e non troppo pianificato.
Mi sembri una persona all’opposto dell’egocentrismo, che dà molto spazio anche agli altri. Cosa significa per te dare spazio alle voci e agli altri artisti invece di affermare la tua presenza in ogni traccia?
È fondamentale dare spazio alle collaborazioni. Sebbene il progetto fosse personale, credo che sia importante riconoscere il contributo di tutti coloro che hanno lavorato su ogni brano. Mi è capitato spesso di essere percepito come un “operaio” del suono, ma voglio scardinare questa visione. Il mio processo è stato proprio quello di costruire insieme, come in un team.
In un periodo in cui ci sono molte uscite musicali, pensi che in Italia ci siano troppi featuring o troppi pochi?
Non è questione di featuring, ma di progetto e identità sonora. Molti progetti oggi sembrano più compilation senza una vera identità. Io ho iniziato Era perché ho trovato una chiave identitaria forte e innovativa, e da lì è nato tutto. Se i featuring sono visti in una chiave moderna, per me ha assolutamente senso farli.
Dopo il tuo primo grande progetto da solista, continuerai a fare produzioni per altri artisti dietro le quinte o continuerai su questa strada da solista?
Continuerò a lavorare dietro le quinte con altri progetti e artisti emergenti. È importante per me la condivisione dell’idea musicale e la stima reciproca. Ci sono tantissimi giovani talenti con cui voglio collaborare, non mi pongo alcun limite.
Hai qualche aneddoto curioso da raccontare sulla realizzazione di un brano che ti sta particolarmente a cuore?
Non ci sono stati momenti particolarmente stravaganti, ma per Tinder Love con Eva Blue, abbiamo lavorato alla seconda strofa a una settimana dalla consegna dell’album. Eva è venuta a casa mia alle 8:30 di mattina per registrare, prima di andare all’università! Il brano è super club e divertente, ma l’idea di lavorarci a quell’ora è stata piuttosto interessante.
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Il mio sogno è portare il progetto Era sui grandi palchi. Voglio costruire un live spettacolare e suonare in giro per il mondo. La mia ambizione è di continuare a far crescere il progetto, non so esattamente come si evolverà, ma l’obiettivo è quello di portarlo ovunque.
Intervista by Sofia Sole